Il capannone dei rifiuti Battaglia giudiziaria tra Comune e proprietà

La giunta di Scorzè autorizza la sindaca Nais Marcon a difendersi dal ricorso presentato al Tar del Veneto il 23 dicembre scorso dalla società Mikal, che ha chiesto l’annullamento, previa sospensione, dell’ordinanza del 30 ottobre 2019 dove il Comune chiede di mettere in sicurezza e togliere i rifiuti tessili dal capannone di via Campocroce 14 a Gardigiano. L’azienda, infatti, ha deciso di andare per le vie legali, contestando il provvedimento partito dal municipio in seguito all’operazione fatta dai carabinieri forestali di Venezia a inizio ottobre.
Oltre quattro mesi fa, i militari dell’Arma avevano trovato quintali di scarti di lavorazione provenienti da Prato, in Toscana. In totale, nella frazione di Scorzè c’erano 900 metri cubi di rifiuti, tanto da riempire per l’80 per cento la capienza dell’immobile. Secondo le indagini degli inquirenti, il materiale partiva dalla città toscana ed era destinato ad altri edifici “satellite” sparsi in giro per l’Italia. E nella lista c’era pure Scorzè. Sempre secondo l’Arma, l’obiettivo dei malviventi era risparmiare sui costi di smaltimento e tutto lo scarto finiva gettato in capienti strutture, alcune liberate dopo le chiusure dovute alla crisi. Alle spalle c’era una grossa organizzazione, con una rete ben preparata e allora in manette erano finiti due uomini, un mantovano di 53 anni e un trevigiano di 40. Nell’occasione, il proprietario del capannone aveva dato in affitto lo stabile ma non sapeva degli “affari” che c’erano dietro. Un fatto non nuovo in casi del genere, confermato pure nell’operazione denominata Penelope. Così il Comune si era affrettato a emettere un’ordinanza ad hoc; nel documento, si chiedeva ai titolari dell’azienda di sospendere tutte le attività nel capannone, staccare il quadro elettrico per evitare eventuali incendi o problemi, allontanare le persone presenti e impedire che altre potessero entrare. E questo è stato fatto nei tempi previsti.
Ma nell’ordinanza si chiedeva anche, se non soprattutto, di rimuovere il materiale perché, alla lunga, avrebbe potuto creare più di un problema; una parte di questo è formato da tessuti sciolti ma sotto sequestro penale e non può essere toccato, mentre l’altra metà, imballato, non ha alcun procedimento e il Comune chiedeva ai titolari di liberare lo spazio. L’operazione non è stata fatta e i proprietari hanno presentato ricorso al Tar. —
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