Frank Gehry, la morte dell’archistar e il sogno mancato della “Porta d’acqua” di Venezia
Il ricordo del grande architetto americano riporta a galla il progetto mai realizzato per la darsena dell’aeroporto Marco Polo, commissionato da Pellicani nel 1998. Schizzi su tovaglioli, incontri a Los Angeles e un’idea visionaria poi naufragata per lo storno dei fondi comunali

Libero e innovativo, fino alla fine. La morte dell’archistar americano Frank Gehry riporta alla mente anche in laguna progetti importanti realizzati per la Biennale e altririmasti nel cassetto.
Era il 1998 quando in un ristorante, dopo un pranzo di lavoro, emersero su dei semplicissimi tovaglioli di stoffa i primi schizzi della Porta d’acqua dell’aeroporto Marco Polo di Tessera. L’aveva commissionata a Gehry la Save dell’allora presidente Gianni Pellicani, il compianto “doge rosso”, per la darsena dell’aeroporto a Venezia. Sarebbe stata la sua prima opera in Italia. Ma le cose sono andate diversamente.
“Venice Gateway” era un progetto ambizioso fatto di vele gonfiate dal vento, o afflosciate dalla bonaccia, sorrette da tralicci di legno simili ad alberi. Una darsena, servizi, un albergo.
E ora che l’archistar è deceduta in California a 96 anni, riaffiorano i ricordi. Come quelli dell’ex sindaco, l’avvocato Giorgio Orsoni, all’epoca presidente di Save Engineering.
«Ricordo bene gli incontri per dargli l’incarico. Ci siamo incontrati spesso con lui e Pellicani; ci sono stati viaggi di collaboratori in America per parlargli. Il progetto preliminare che realizzò era un progetto già allo stato avanzato. Ma ricordo che era riluttante. Disse: “Conosco gli italiani e so che con loro i progetti partono ma poi non vengono realizzati”», ricorda Orsoni. «Lo ricordo come una persona cordiale, decisamente aperta. Alla fine ha avuto ragione lui», dice. Il progetto finì poi accantonato.
“Il progetto della Porta d’acqua - ricostruisce Enrico Marchi, presidente di Save e di Nem (che edita questo giornale) - mi stava molto a cuore. Non lo abbiamo potuto realizzare a causa dello storno dei fondi comunali previsti. Fu proprio il sindaco Orsoni a togliere con un incredibile voltafaccia questi fondi, peraltro dormienti da un decennio, così da rendere economicamente non sostenibile l’intera operazione. Sono andato personalmente a Los Angeles a incontrare l’architetto, lo dico a riprova del fatto che l’intervento era di grande interesse mio e di Save. Sono stato con lui nel suo studio, dove si possono ammirare alcuni impressionanti modelli dei suoi progetti, e poi insieme a vedere la Walt Disney concert hall”.
Disegni e primi schizzi su tovaglioli sono custoditi dalla Fondazione Pellicani. Il figlio di Gianni, Nicola, ricorda: «Una occasione mancata dalla città come fu negli anni Sessanta per l’ospedale di Le Corbusier a Venezia».
Ma Gehry è rimasto uno dei grandi protagonisti a Venezia, per le tante presenze alla Biennale di Venezia. Chiamato da Portoghesi, nel 1980 realizzò una facciata per la “Strada Novissima” e nel 2008 ricevette il Leone d’Oro alla carriera. Alla Biennale tornò nel 2010 per raccontare il Parc des Ateliers di Arles e 2016 con una installazione pensata per la Fondation Louis Vuitton di Parigi: un “vascello di vetro”, un edificio che pareva scultura.
Dalla Biennale di Venezia arrivano, sentite parole di riconoscenza.
Il Presidente Buttafuoco e tutta la Biennale lo ricordano «con profonda stima e sincero affetto», si legge in una nota, «maestro indiscusso dell’architettura contemporanea e figura rivoluzionaria che ha segnato in modo indelebile la cultura del progetto a livello internazionale». Una eredità che resterà.
«La vita di Gehry, contraddistinta da una creatività inesauribile, da un’ironia lucida e da una rara sensibilità, ha ridefinito il rapporto tra forma, spazio e materia, trasformando in modo radicale il modo in cui il mondo percepisce l’architettura e il suo potere evocativo». —
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