Delitto Pamio, l’omicida aveva i guanti

Nessuna impronta sui coltelli usati per colpire la vedova di 87 anni, scartata la pista dell’aggressione d’impeto
Di Giorgio Cecchetti

Non hanno trovato un’impronta, l’assassino non ha lasciato tracce. E non solo in casa, ma neppure su quei quattro coltelli che ha usato per colpire e uccidere il 20 dicembre dell’anno scorsso l’87enne Lida Taffi Pamio. Le lame conficcate nel corpo e i manici a terra, spezzati, intorno al corpo, eppure non c’è l’impronta di un dito o di un palmo della mano che ha colpito con tale violenza da spezzare quattro coltelli.

La speranza degli investigatori della Squadra Mobile e del pubblico ministero Federico Bressan è che almeno si sia leggermente ferito tirando quelle coltellate e che abbia lasciato qualche goccia del suo sangue. Se così fosse la ricerca che sta svolgendo il medico legale padovano Luciana Caenazzo, grande esperta di dna, potrebbe essere davvero importante, perché il suo lavoro potrebbe fornire l’identikit genetico dell’omicida. Un profilo che dovrebbe essere comparato con quello del sospettato, che per ora non c’è, ma almeno potrebbe dare maggiori sicurezze a chi conduce le indagini, almeno fornire un identikit da cui partire.

La circostanza che sui coltelli non sia stata trovata la minima impronta porta subito a sostenere che chi li ha usati aveva indossato un paio di guanti per colpire, mettendo in discussione l’ipotesi che il motore di quel delitto sia stato la rabbia, l’impeto. Del resto, chi ha ucciso l’anziana di viale Vespucci prima l’ha riempita di pugni in testa, poi gli ha infilato un maglione e ancora le ha stretto al collo un cavo, infine l’ha accoltellata con quattro coltelli diversi perché via via, uno alla volta, si sono spezzati. Insomma, non un delitto di chi ha organizzato in precedenza l’aggressione, di chi sapeva prima di entrare quale era il suo obiettivo. Invece, l’utilizzo dei guanti smentisce in parte questa ricostruzione. L’assassino molto probabilmente prima di colpire si è infilato i guanti proprio per non lasciare tracce di sé, già li aveva in tasca o addirittura quando ha suonato alla porta li indossava in modo da non lasciare impronte neppure sulla porta d’ingresso.

Che la conoscesse, visto che lei gli ha aperto la porta (non ci sono segni di effrazione sulla porta e sulle finestre) senza sospettare di nulla, ormai è certo, e che la odiasse o comunque che la detestasse rabbiosamente è altrettanto sicuro, considerando la sua azione. Ma non ha perso del tutto la lucidità, tanto da infilarsi i guanti per non farsi «beccare» facilmente.

Non resta che il dna, dunque. Un elemento che va intrecciato con il lavoro che stanno svolgendo gli investigatori della Polizia dalle ore immediatamente seguenti all’omicidio. Il profilo genetico, infatti, va comparato, come del resto qualsiasi impronta, a quello dei sospettati, se sono più d’uno come potrebbe essere in questo caso in cui si lavora sulle ipotesi. Decine di persone sono state monitorate in queste quattro settimane di indagini. Sono stati pedinati, controllati e intercettati. Sono stati controllati i loro cellulari, per capire dove si trovavano quel pomeriggio del 20 dicembre. E poi sono state sentite decine e decine di persone per conoscere e capire dove si trovassero al momento dell'omicidio o subito dopo.

È stata raccolta e analizzata anche una telefonata anonima che indicava il nome e cognome di un uomo che, dopo il controllo, corrispondeva alla descrizione fisica di colui che è stato visto uscire dal portone quella sera. Ma, alla fine, la pista è stata abbandonata perché gli accertamenti hanno chiarito che si trattava della vendetta di un fidanzato abbandonato: voleva rifarsi sul concorrente che gli aveva soffiato la ragazza.

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