Cerniere Mose, storia di una gara infinita fermi da due anni 34 milioni per rifarle

Azzerata la prima commissione per conflitto di interessi. Adesso stop ai sopralluoghi, tutto bloccato di nuovo



Una gara che non finisce mai. E’ quella per la riparazione delle cerniere corrose del Mose. “Progetto di partenariato”, per individuare materiali più idonei e resistenti. e fabbricare nuovi gruppi cerniera-connettore.

Storia infinita. Prima la commissione azzerata per possibili “conflitti di interessi”. Adesso il nuovo stop. Da mesi le tre aziende ammesse – Cimolai, Fincantieri e Industrie De Pretto – non vengono invitate dal Consorzio Venezia Nuova e dal direttore-commissario Francesco Ossola al sopralluogo alle bocche di porto. Prima di depositare offerte e osservazioni, devono prendere visione dello stato dei meccanismi. All’avvio del primo bando di gara, nell’estate del 2019, apparivano già soggetti a corrosione avanzata in alcune parti. Ma è tutto fermo. La nuova commissione adesso è formata dal dirigente del Provveditorato Francesco Sorrentino, presidente, e dagli esperti Barbato e Treccosti.

Uno scandalo che dura da anni, più volte denunciato dalla Nuova, adesso sotto i riflettori della Corte dei Conti. Le cerniere del Mose, la parte più delicata del sistema, non danno le garanzie certificate dal progetto. Lo ha scoperto nel 2017 il perito del Magistrato alle Acque Gian Mario Paolucci. Corrosione degli steli e dei tensionatori, rischio per la tenuta del sistema, scriveva l’esperto. Tra le scoperte anche quella che i materiali impiegati e l’acciaio non sono gli stessi del progetto e dei test.

Dopo l’ennesimo scandalo, il Provveditore Roberto Linetti corre ai ripari. E incarica nel 2018 una commissione di esperti di formulare proposte. C’è chi propone di sostituire gli “steli” con un diverso tipo di acciaio superduplex. Chi di limitarsi a una manutenzione più frequente. Alla fine si decide per la gara. 34 milioni di euro vengono stanziati per avviare il progetto delle nuove cerniere. Storia che risale ai primi anni Duemila. Quando il Consorzio di Mazzacurati affida la realizzazione delle cerniere alla Fip di Selvazzano, azienda controllata dalla Mantovani di Baita e Chiarotto. Si discute allora se sia meglio le cerniere fuse o saldate. Si decide alla fine per queste ultime, le uniche che la Fip è in grado di produrre. Ma dopo qualche anno ecco spuntare i primi guai.

La prima commissione di gara, nominata dal Provveditorato, ha vita breve. Due suoi componenti, l’esperta Susanna Ramundo e l’ingegnere Dario Berti, vengono esautorati per il dubbio di un conflitto di interessi. «E’ possibile», dice il presidente dell’Anac Raffaele Cantone ai commissari che gli chiedevano lumi. Ramundo aveva collaborato con il Rina, il registro navale italiano, che risulta una delle parti in causa. Berti in qualità di dirigente di Comar, la società operativa del Consorzio, al lavoro delle cerniere. Così la gara si blocca. E adesso si ferma nuovamente, in attesa di poter continuare le procedure e di verificare lo stato di conservazione delle cerniere.

Una delle tante “criticità” scoperte dalla gestione commissariale del Consorzio e finite nei dossier inviati al ministero delle Infrastrutture, all’Anac e alla stessa Corte dei Conti. Che adesso indaga proprio su sprechi e negligenze. Altre indagini erano state aperte subito dopo l’inchiesta penale sul Mose, nel 2014. Come quella per i “sovracosti” del Mose. 81 milioni di euro di maggiori costi sui materiali e le forniture – come i massi arrivati dalla Croazia per le dighe – e i materiali approvati dal Ctm (Comitato tecnico di magistratura) poi rivelatisi difformi da quelli dei progetti. Un groviglio che in questo periodo è offuscato dalla soddisfazione per il funzionamento del Mose. Sollevato 14 volte negli ultimi tre mesi. Ma i nodi sono ancora tanti. —

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