Ancora un "no" di papa Francesco alla nomina a cardinale del patriarca Moraglia

Il pontefiche ha annunciato 13 nuove nomine: per la prima volta, il primate della Diocesi non è porporato
Papa Francesco e il patriarca di Venezia Francesco Moraglia
Papa Francesco e il patriarca di Venezia Francesco Moraglia

VENEZIA. La diocesi di San Marco non è più sede cardinalizia e il suo primate, monsignor Francesco Moraglia, si scopre una volta ancora escluso dall'assemblea dei grandi elettori della Chiesa.

L'esito del terzo concistoro voluto da Papa Francesco - che in vista della riunione plenaria del 19 novembre ha annunciato la nomina di 13 nuovi cardinali, tra i quali gli italiani monsignor Mario Zenari (che resta nunzio in Siria) e l'emerito di Novara Renato Corti - lascia l'amaro in bocca alle aspettative della comunità cattolica veneziana e veneta: al patriarca Moraglia, presidente della Conferenza episcopale del Triveneto, è negata la porpora tradizionalmente accordata alla cattedra marciana chiamata ad esprimere (da Pio X a Giovanni XXIII fino a Giovanni Paolo I) ben tre pontefici in un secolo. Difficile non scorgere nella circostanza un ridimensionamento della rappresentatività dell'episcopato nordestino ai vertici della Santa Sede, attenuato appena dall'elezione del "diplomatico" veronese Mario Zenari.

Ma se la delusione è comprensibile, sarebbe errato e del tutto fuorviante interpretare la scelta di Bergoglio come una bocciatura dell'operato del Patriarca.
Vero è che Moraglia - al pari del precedessore Angelo Scola (arcivescovo di Milano) e di Cesare Nosiglia (ieri vescovo a Vicenza, oggi a Torino) - appartiene all'"asse del nord" di estrazione ruiniana che in seno alla Cei non nasconde qualche perplessità verso la svolta "pauperista" intrapresa dal papa argentino, impegnato tuttora in un braccio di ferro - sul versante della trasparenza finanziaria e della gestione delle risorse - con l'ala conservatrice della Curia. Ma non è questo il fattore che ostacola la concessione della berretta al pastore di Venezia, il cui impegno inclusivo - capace di dialogare con le tante sensibilità di una città vocata alla pluralità cosmopolita- è in realtà apprezzato tra le mura leonine.

Le scelte cardinalizie di Jorge Bergoglio, commentano i vaticanisti più avveduti, non mirano a premiare o e penalizzare le aspirazioni dei singoli ma piuttosto a porre fine alla prassi degli «automatismi» che volevano questa o quella diocesi "titolare" di un ufficioso ma indiscusso tributo ecclesiale, quasi un'eco medievale dei "benefici residenziali" riconosciuti ai principi-vescovi. Una tradizionale plurisecolare capace di alimentare «la malattia del carrierismo» sempre denunciata dal gesuita che, nei suoi primi atti di nomina, non ha mancato di elevare a vescovi due "preti di strada" ignoti al Vaticano quanto amati dalle comunità di provenienza.
Non solo politica interna. Perché questo Concistoro enfatizza la visione globale del Papa "venuto dalla fine del mondo": la sua Chiesa non è più eurocentrica e tantomeno elegge l'Italia a teatro privilegiato. Guarda alle periferie del pianeta, ai Paesi africani, asiatici e latinoamericani dove la fede mantiene vitalità e forza propulsiva smarrite dalla terra dell'evangelista Marco che fu "vigna del Signore".
 

Riproduzione riservata © La Nuova Venezia