Calearo: «Ora mi dimetto alla Camera provo disagio»

L’imprenditore vicentino capolista del Pd nel 2008 mette fine alle polemiche Andrea Colasio: «Quel posto toccherebbe a me, ma non credo che lascerà»

PADOVA. «Basta polemiche, mi dimetto». La notizia arriva con un’intervista al quotidiano «Il Fatto» e al Giornale di Vicenza. Ma chi può dire che Massimo Calearo non abbia deciso di vendicarsi con un azzeccatissimo «pesce d’aprile»?

Il deputato vicentino, in realtà adduce motivazioni personali, molto serie, alla sua scelta di lasciare: «Le mie assenze alla Camera sono cominciate alla vigilia di Natale», ha spiegato Calearo. «In quei giorni mia moglie si è ammalata seriamente. Ho scelto di rimanerle vicino. E' morta il 19 marzo scorso. Nel frattempo ho ripreso a lavorare nella mia azienda. Quando sono ritornato in aula sono stato male, ho provato un grandissimo disagio e ho cominciato a schifare una classe politica che è sempre la stessa. Basta, mi dimetto. Così la finiamo con le polemiche. Aspetto solo che quegli “sciocchini” del Pd la smettano di spararmi addosso, poi scrivo la lettera per Fini».

Una scelta che arriva a pochi giorni da un’altra dichiarazione. Di senso contrario. «Non lascio, perché altrimenti entrerebbe un filo-castrista, uno molto di sinistra: Andrea Colasio».

L’assessore alla Cultura del comune di Padova l’aveva presa sul ridere: nel Pd è accusato di essere un liberal che guarda al centro e, dopo averci riflettuto su, c’era rimasto male. «Per me parla la mia storia. Ma sto pensando di querelare Calearo, che non mi può insultare», dice Colasio. Oggi per l’assessore si riaffaccia l’ipotesi di tornare a Montecitorio, dove è stato per due legislature tra il 2001 e il 2008, come stretto consigliere dell’allora ministro dei Beni culturali Francesco Rutelli. «Sono molto cauto. Per me alla fine Calearo non si dimetterà», spiega Colasio. «In ogni caso se le sue assenze sono dettate da motivazioni familiari non è il caso di fare ironia. Rispetto il suo dramma umano».

Stop della polemica. Potrebbe finire tra pochi giorni dunque l’esperienza politica di Massimo Calearo, l’ex presidente di Federmeccanica convinto da Walter Veltroni e Paolo Giaretta a fare il capolista Pd alle ultime elezioni politiche nella circoscrizione Veneto 1.

Doveva rappresentare il legame tra mondo dell’impresa «nordestina» e la svolta liberal dei democratici, ma è diventato il simbolo dell’antipolitica. Un deputato in «transizione perenne»: dal Pd è passato all’Api di Rutelli, poi ai «Responsabili» di Scilipoti (ottenendo la carica di consulente per il commercio estero di Berluscono), per finire a «Popolo e territorio», partito aggregatore di fuoriusciti capitanato dal semi-sconosciuto Vincenzo D’Anna.

Ma a far balzare nuovamente agli onori delle cronache Calearo è stata la sua partecipazione alla trasmissione radiofonica «La Zanzara». «Due gay che si baciano? Mi fa schifo, lo facciano a casa loro. Mi giro dall'altra parte. Io sono normale e mi piacciono le donne», la prima provocazione.

E poi via via peggiorando: «Dall'inizio dell'anno alla Camera sono andato solo tre volte. Rimango a casa a fare l'imprenditore, invece che andare a premere un pulsante. Non serve a niente». E infine: «Con lo stipendio da parlamentare pago il mutuo della casa che ho comprato, 12mila euro al mese di mutuo. E' una casa molto grande... E poi c’è la mia Porsche, targata Slovacca: l'ho comprata lì perché ho un'attività in quel paese con 250 dipendenti. In Slovacchia si possono scaricare tutte le spese per la vettura. E in Italia no».

Quanto basta per scatenare il «popolo del web» e il «popolo dei democratici». E Veltroni ha affidato il suo pensiero a Twitter: «Vedo solo ora che mi si chiede di scusarmi per la candidatura di Calearo. Calearo ha mostrato di essere una persona orrenda...», ha scritto.

Claudio Malfitano

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