«Bossi si deve dimettere»
L'Udc attacca la Lega: o il governo o la secessione

Antonio De Poli (Udc)
VENEZIA.
Secessione, secessione. I ragazzi del coro ripartono con il ritornello su ordine del Capo, ma un Bossi con il piede in due staffe non è credibile neanche ai suoi. Figurarsi agli altri. Giancarlo Gentilini ha dato ragione a Napolitano. Flavio Tosi idem. Luca Zaia si è defilato.
Vorrà dire qualcosa. E' vero che i pretoriani alla Piergiorgio Stiffoni spingono Gobbo a cacciare Gentilini definendolo «un virus» della Lega. Ottimo sistema per darsi la zappa sui piedi, vista la notorietà: per fare un Gentilini servono decine di Stiffoni. E forse non bastano, senza offesa. Magari Gobbo, che ha sempre patito le intemperanze del suo vice, anche perché Genty non si è mai considerato tale, probabilmente ci pensa. Dovrebbe ricordare che Gentilini è sempre stato un esagerato: perché cacciarlo solo adesso? Come se la secessione fosse in programma sabato prossimo. Gente molto tollerante, questi leghisti. Più che un partito, la Lega è un tinello di famiglia: tutti fratelli padani, uno più in linea dell'altro, pronti a tagliarsi i cosiddetti e tornare al 10% dei voti, se è vero che vorrebbero cacciare anche Flavio Tosi che ha l'80% di voti a Verona. Il quale Tosi risponde annoiato alla domanda trabocchetto sulla Padania che non esiste secondo Napolitano: «Questo tipo di polemiche non mi appassionano. Io concordo con il capo dello Stato, che ho apprezzato quando a Verona e non solo qui ha ricordato che l'Italia è un Paese unito, pur con le diversità che lo caratterizzano. Sono d'accordo con il presidente quando sostiene che il federalismo è la ricetta migliore per tenere unito il Paese. Altre polemiche non hanno senso né interessano ai cittadini, alle famiglie e non portano da nessuna parte». Giusto. Ma è un ragionamento utilitaristico anche quello di Tosi, perché nasconde l'incongruenza gigantesca dei leghisti: mentre spingono la verifica interna sui fedeli alla linea della secessione, hanno il Capo saldamente seduto al governo nell'odiato paese dal quale vorrebbero scappare. Si può sapere perché Bossi che lancia la secessione, non comincia a farla lui per primo, mollando la poltrona di ministro? O è imbullonato alla sedia e non trova la chiave inglese? La contraddizione si vedrebbe anche al buio. Glielo ricorda Antonio De Poli dell'Udc: «Bossi si dimetta oppure faccia un passo indietro sulla secessione. E' un ministro della Repubblica, che ha giurato fedeltà alla Costituzione. E' inaccettabile che la Lega prosegua con queste posizioni anti-italiane. Lo stesso presidente della Regione Veneto Luca Zaia, a differenza di Tosi e Gentilini, non ha neppure il coraggio di schierarsi: non vuole remare contro Napolitano, ma non vuole neppure bocciare platealmente la linea di Bossi. Si limita a parlare di federalismo, sostenendo che è un movimento centripeto. Peccato che federalismo e secessione siano cose ben diverse. La secessione gli italiani non la vogliono, il federalismo sì ma non quello della Lega che ha portato in Veneto solo più tasse e meno potere alle autonomie locali». Stessa musica arriva dagli strumentisti del Pdl. «Un conto è il senso di appartenenza a un territorio, un altro sentirsi padani - scrivono Dario Bond e Pigi Cortelazzo, numero 1 e 2 del Pdl in Regione -. Per questo condividiamo le parole del prosindaco di Treviso Gentilini che stavolta, contrariamente ad alte occasioni, non possiamo che appoggiare. Questo non è il tempo degli slogan, i veneti pretendono soluzioni concrete e non fantapolitica».
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