Le Feste col fiato sospeso: difficoltà per oltre mille lavoratori nel Veneziano

Numerosi i lavoratori nelle aziende che attraversano momenti di crisi. Da Superjet a Speedline, passando per Altuglas e il pericolo di una reazione a catena nella chimica: la preoccupazione di alcuni dipendenti

Una veduta dell'area industriale di Porto Marghera

La Peg Perego (prodotti per l’infanzia) di San Donà è in difficoltà a causa dell’inverno demografico che colpisce l’Italia; la Superjet International di Tessera (aerei per voli di medio raggio) paga le conseguenze dell’invasione russa dell’Ucraina; la Speedline (cerchioni) di Santa Maria di Sala e la Costampress di Scorzè (pressofusioni in alluminio) soffrono le difficoltà del settore automotive, anche se con prospettive per il 2026 molto diverse tra loro.

E ancora: l’azienda chimica Altuglas di Porto Marghera verso la chiusura, con un effetto a catena pericoloso per quel che resta del Polo chimico. Il filo rosso delle crisi aziendali che attraversa il Veneziano da Tessera a Porto Marghera, passando per le zone industriali del Miranese e del Veneto orientale, riguarda circa mille lavoratori e racconta molto dei tempi che stiamo attraversando, dei legami tra le economie di Paesi diversi, delle ricadute locali delle crisi globali. Situazioni di crisi che, nella maggior parte dei casi, si trascinano da anni con una contrazione della forza lavoro: scivoli per i più anziani, buone uscite o cambi d’azienda per i più giovani e le professionalità più elevate.

La Geopolitica e il caso Superjet

Prendiamo il caso della Superjet, per esempio, l’azienda di Tessera, con circa 100 dipendenti, le cui attività sono congelate dopo l’invasione russa dell’Ucraina. Le sanzioni decise da Bruxelles contro la Russia e i suoi interessi in Europa hanno colpito anche Tessera dove venivano allestite le carlinghe prodotte in Siberia per poi commercializzare gli aerei, i Superjet 100, per il mercato delle tratte regionali, soprattutto nei Paesi del Sud America.

Con le sanzioni dell’Ue il 90% delle quote societarie riconducibili ai russi è passata all’Agenzia del Demanio ma, in questi anni, ogni tentativo di rilancio industriale è sfumato e ora la società è di fronte a un bivio: la liquidazione o la composizione negoziata della crisi, ovvero la strada che l’ad Camillo Perfido sta cercando di percorrere. «Quella di Superjet è una crisi indotta», riflette Michele Valentini della Fiom Cgil di Venezia, «perché c’erano le possibilità di rilanciare l’azienda, ma non c’è stato nessun sostegno da parte della politica. Pare che dei lavoratori di Tessera non interessi a nessuno».

Da tempo i lavoratori chiamano in causa anche Leonardo, che di Superjet detiene il 10% delle quote. «L’azienda sta morendo per questioni geopolitiche, non industriali», dice Daniele Masiero, della Fim Cisl, «e se non c’è una scelta politica non si salvano i lavoratori. Leonardo deve intervenire con responsabilità, e ricollocare i lavoratori nelle due divisioni di Tessera».

Ex ilva: Marghera chiama Taranto

Se per Superjet pesa la crisi geopolitica tra Bruxelles e Mosca, il caso Acciaierie d’Italia (ex Ilva) chiama in causa il declino e il sempre atteso rilancio del più grande polo siderurgico d’Italia, a Taranto. A Porto Marghera c’è un capannone logistico, più chiuso che aperto. «Stocchiamo e carichiamo i prodotti, in base alle navi che arrivano. Di media una al mese», racconta uno dei 45 lavoratori rimasti in banchina, e vuol dire che una settimana si lavora, e tre si sta a casa in Cassa integrazione.

Altuglas: reazione chimica a catena

Restando a Porto Marghera, ma passando dai metalmeccanici ai chimici. Una delle crisi che preoccupa di più è quella dell’Altuglas, specializzata in componenti per il plexiglass. Il punto è che produrre acetone cianoidrina costa più che farlo arrivare dalla Cina; e quindi si chiude.

I 51 dipendenti della sede di Porto Marghera hanno già ricevuto la lettera di licenziamento per cessata attività e nell’ultimo tavolo di crisi, in Regione lo scorso novembre, la società ha fatto sapere che le è impossibile restare nel Veneziano per gli eccessivi costi energetici e per la concorrenza dei mercati esteri.

Ma, come accade spesso nel comparto chimico, la chiusura dell’Altuglas potrebbe innescare una reazione a catena mettendo nei guai, ad esempio, la 3V Sigma (già devastata da un incendio nel maggio del 2020) che da Altuglas riceve l’ammoniaca per le sue produzioni. Un ulteriore tassello che ridimensiona il ruolo della chimica a Porto Marghera.

Auto e moto, i rilanci attesi

Nell’area del Miranese invece le difficoltà riguardano aziende del comparto automotive e motori. Per la Speedline (230 i dipendenti rimasti) di Santa Maria di Sala il peggio sembra essere passato. Dopo le fallimentari gestioni dei fondi speculativi, l’azienda si trova ora in regime di amministrazione straordinaria.

I tre commissari (Maurizio Castro, Giovanni Patti e Alfonso Celotto) hanno lavorato sodo per il rilancio e la vendita, raccogliendo dieci manifestazioni di interesse: realtà della filiera automotive, fondi specializzati e grandi player internazionali delle materie prime.

Realtà industriali, più che finanziarie, ben consolidate che credono nella forza del marchio e nella capacità di rilancio della storica azienda dei cerchioni in lega. Valentini (Fiom), invita tuttavia alla prudenza: «Fino a qui è stato fatto un buon lavoro, ma aspettiamo di capire chi comprerà».

Il 2026 potrebbe essere l’anno di rilancio anche per la Fantic Motors. L’azienda di Santa Maria di Sala è inciampata nella crisi dell’e-bike, bolla che si è sgonfiata in pochi anni, e ha intrapreso il percorso di composizione negoziata della crisi con i lavoratori in contratto di solidarietà.

Il percorso di consolidamento sta dando buoni risultati. Restano ombre invece sulla Costampress di Scorzè (150 dipendenti) in mano al fondo tedesco Accursia Capital che ha fatto richiesta di Concordato di Continuità presso il Tribunale di Venezia.

Nel Veneto orientale

I casi più significativi sono quelli dello stabilimento Peg Perego di San Donà, sceso da 120 a poco più di 50 dipendenti con procedura di mobilità volontaria e della Dradura (San Donà) che realizza prodotti in filo di acciaio ed è entrata in crisi con il taglio degli ordini da parte di Ikea. Per gli oltre cento dipendenti è scattato il contratto di solidarietà fino a fine anno.

«Il settore metalmeccanico», riflette Diego Panisson, della Uilm veneziana, è attraversato da crisi che da anni non trovano soluzioni strutturali». «La politica nazionale», aggiunge, «non guarda al manifatturiero con interesse».

Albanese, operaio alla Speedline: «Qui da 30 anni, gli ultimi cinque i più complicati»

Giampaolo Albanese
Giampaolo Albanese

Giampaolo Albanese (nella foto) operaio di 62 anni e da 30 in Speedline non nasconde la fatica vissuta in questi ultimi 5 anni con la crisi dell’azienda di Santa Maria di Sala.

La crisi della Speedline è iniziata nel 2021 con la decisione dell’allora proprietà di delocalizzare. Come ha vissuto questo periodo?

«È stato un periodo difficile della mia vita e della vita di tutta l’azienda. Siamo passati da 600 a 230 dipendenti. A difesa dell’occupazione si sono subito schierate le istituzioni e i sindacati e nessuno è stato lasciato a casa senza reddito. Molti se ne sono andati. Per altri è scattato il prepensionamento. Altri sono rimasti. Speriamo di tornare alla normalità nel giro di qualche anno. Chi se ne è andato era giovane e un redditto da cassaintegrato non era sufficiente. In cassa integrazione si prendono 1200 –1300 euro netti, se tutto va bene».

Ora alla Speedline si lavora?

«Sì, ma solo una settimana al mese a rotazione. Si tratta di una soluzione che non è ottimale ma che permette, in questo momento, di far andare avanti l’attività senza bloccare la produzione che ha grosse potenzialità di rilancio. La fortuna della Speedline è stata quella di accedere alla procedura dell’amministrazione straordinaria e di conseguenza alle garanzie concesse dallo Stato. Speedline è una azienda strategica. Non tutti i problemi sono risolti e la speranza, dopo 4 anni, è quella che l’attività possa ripartire a pieno ritmo nel 2026».

In che modo il 2026 potrebbe essere l’anno della svolta?

«Stiamo aspettando con ansia la primavera, sperando che Speedline possa essere acquistata da una proprietà in grado di rilanciarla. Per il comparto non è un periodo facile ma la possibilità di entrare in nuovi mercati non è una chimera».

Ci saranno nuove assunzioni?

«Come delegato sindacale della Cisl e come operaio lo spero. Bisogna fare un passo alla volta. Alla mia età l’obiettivo ovviamente è arrivare alla pensione, e certo non posso biasimare chi se ne è andato e ha trovato un’altra occupazione. Quando si lavorava a pieno ritmo alla Speedline si poteva arrivare tranquillamente a 1.900 euro al mese. Speriamo di poterci ritornare presto, penso soprattutto ai lavoratori più giovani». (Alessandro Abbadir)

Hajdini, dipendente alla Dradura: «Usciti 35 colleghi, con i nuovi clienti la ripresa ci sarà»

Un anno ancora di assestamento e poi il decollo, Dradura vuole rialzare la testa. L’azienda di San Donà di Piave in via Kennedy punta a consolidare la produzione di fili d’acciaio e griglie per le grandi industrie di elettrodomestici, ma da quando il colosso Ikea ha iniziato a stringere sugli ordini sono iniziati i problemi. Paqsor Hajdini fa parte delle Rsu aziendali della Uilm per il settore metalmeccanico e racconta delle difficoltà che lui e i suoi colleghi stanno attraversando in questo periodo.

Hajdini, che rapporto c’è tra i lavoratori e proprietà di Dradura?

«La proprietà è oggi una società di investimenti tedesca subentrata da un paio d’anni. Un gruppo solido che ci crede. Stanno investendo anche su un nuovo impianto di plastificazione e un altro per la brillantatura dell’acciaio che mancava. Prima dovevamo ricorrere a ditte esterne».

Quanti sono oggi i lavoratori rimasti?

«Fino alla ristrutturazione aziendale eravamo, con gli interinali, circa 150 lavoratori, poi è stato riconosciuto un contributo di uscita per ogni operaio di 30 mila euro più 2 anni di Naspi e 35 sono usciti a inizio anno».

E poi cosa è successo?

«Abbiamo saputo del secondo trimestre di cassa integrazione in sede di Confindustria a Mestre e anche della perdita degli ordini di Ikea. La nostra azienda, che ha anche una sede vicino ad Alessandria, produce fili d’acciaio e griglie per elettrodomestici proprio per realtà quali Ikea, Electrolux e altre grosse aziende e marchi internazionali del settore. Qualcosa era cambiato già con la crisi del 2008. Allora si fece avanti Ikea come cliente, ma per prodotti che hanno sempre avuto poco margine. Pensiamo a prodotti per bagni, oppure cesti e altro. Ikea mette sotto pressione i fornitori, mettendoli anche in una sorta di concorrenza tra di loro. Fino a marzo continueremo a lavorare per loro, poi hanno scelto di esternalizzare le loro produzioni. Quindi sono rimasti solo pochi prodotti che verranno mano a mano eliminati».

Lei e i suoi colleghi come vedete il vostro futuro e quello dell’azienda?

«Abbiamo preso come nuovo cliente la tedesca Miele che produce elettrodomestici, quindi la Bosh e altri che stiamo contattando. Ci sono prospettive buone, con investimenti su macchinari nuovi per una vera ripresa. Il 2026 sarà un anno di stagnazione per poi riprendere a pieno ritmo. Gli investimenti stanno andando avanti e speriamo bene. Dopo l’assestamento potremo davvero decollare». (Giovanni Cagnassi)

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