Perquisizioni al centro sociale Rivolta per l’irruzione alla bioraffineria Eni

L’accusa della Procura dopo la manifestazione è di sabotaggio e danneggiamenti. Per ora sono una decina gli indagati  
Perquisizione al Centro Sociale Rivolta Mestre, 20/10/2020 Foto A. Gilardi/Ag. Lorenzo Pòrcile
Perquisizione al Centro Sociale Rivolta Mestre, 20/10/2020 Foto A. Gilardi/Ag. Lorenzo Pòrcile



A un mese e mezzo dalla manifestazione all’interno della raffineria di Eni, la magistratura risponde agli attivisti del Venice Climate Camp ordinando una perquisizione, in cerca di prove, al Centro Sociale Rivolta di Marghera. Una cinquantina di poliziotti, carabinieri e finanzieri in divisa anti sommossa e in borghese hanno fatto irruzione nell’edificio e nella sede della ditta “r3B”, adiacente al centro sociale ma con accesso da via dell’Elettricità. Per aprire i cancello hanno usato i vigili del fuoco. Era l’alba e l’irruzione è avvenuta non in presenza dei legali rappresentanti della struttura e dell’azienda. Decisamente una prova di muscoli della Procura che si può leggere anche dai reati cointestati e riportati nel decreto di perquisizione. Vengono contestati a chi ha partecipato all’occupazione di una parte della raffineria il reato previsto dall’articolo 508 del codice penale che “ punisce chi si renda colpevole del reato di sabotaggio, consistente nel danneggiare gli edifici adibiti ad altrui azienda agricola o industriale oppure altrui macchine, scorte, apparecchi o strumenti destinati alla produzione agricola o industriale”. Altro articolo contestato è il 420 che riguarda chiunque commette un fatto diretto a danneggiare o a distruggere impianti di pubblica utilità, è punito, salvo il fatto costituisca più grave reato, con la reclusione da uno a quattro anni. Reati di cui dovranno rispondere le diverse decine di attivisti del Venice Climate Camp che il 12 settembre entrarono, dopo aver forzato i cancelli, nella raffineria. Già una decina sono stati individuati e quindi iscritti nel registro degli indagati. All’interno del centro sociale i poliziotti della Digos hanno perquisito numerosi ambienti non andando per il sottile, mentre fuori già verso le 7 iniziavano a riunirsi gli attivisti che frequentano il Rivolta. Attivisti che denunciano i metodi bruschi usati per le perquisizioni e per l’ “apertura” delle porte, diverse delle quali sono state abbattute. All’esterno, a parte qualche slogan contro la polizia, la situazione si è sempre mantenuta calma anche perché il servizio d’ordine aveva previsto lo schieramento di un “esercito” di uomini. Negli stessi momenti era stato organizzato, dalla Questura, un presidio davanti alla raffineria Eni. Infatti la polizia temeva l’azione di protesta degli aderenti al movimento nato attorno al Venice Climate Camp. Non è successo nulla per tutta la giornata. Durante la perquisizione i poliziotti hanno preso di tutto. Sono stati sequestrati manici per rastrello, bombolette di colore spray, striscioni, latte di colore all’acqua, bastoni, pennelli e pennelesse, attrezzi da lavoro e l’elenco completo dei nomi dei partecipanti al Venice Climate Camp, stilato dagli organizzatori in base alle norme anti-covid. Magari questo aiuta gli inquirenti a individuare anche gli stranieri entrati nella raffineria che quel giorno era protetta da una guardia giurata armata all’ingresso principale e dal responsabile della sicurezza. La raffineria è inserita nella lista Seveso delle aziende a rischio. L’operazione della polizia è terminata poco dopo le 12.30. Gli agenti sono andati via con sacchi di materiale sequestrato. A quel punto all’interno del centro sono entrati gli attivisti rimasti per tutto il tempo all’esterno.

Talmente è stato tanto il materiale sequestrato che i legali rappresentanti del centro sociale e dell’azienda e cioè Michele Valentini, Vittoria Scarpa e Tommaso Cacciari, sono rimasti in questura per compilare gli atti relativi al sequestro fino alle 21. Il materiale sequestrato sarà utile, eventualmente, anche per dimostrare i danni che Eni dice di aver patito in seguito all’incursione degli attivisti. Infatti l’industria petrolifera sostiene che durante l’azione gli ambientalisti hanno creato danni per oltre 400 mila euro.

I manifestanti, inoltre, hanno sempre replicato che quella è una cifra che si sono inventati all’Eni per impressionare forze dell’ordine e magistrati e respingono pure l’accusa di aver messo in pericolo l’impianto e la sicurezza di tutti come invece sostengono la stessa azienda, i sindacati e l’Associazione degli Industriali. Gli attivisti hanno annunciato iniziative a livello nazionale. —

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