«Elena è tornata a casa Un percorso doloroso per poter ammirare un panorama migliore»

Il santuario della Navicella colmo di parenti e amici della ragazza scomparsa a 29 anni dopo un male che non l’aveva piegata nei sogni 

l’addio

Una bara di legno chiaro, ricoperta di fiori bianchi e fucsia, il piccolo santuario della Beata Vergine della Navicella stavolta meta del pellegrinaggio di tanti parenti, amici e anche semplici conoscenti, che hanno voluto salutare per l’ultima volta Elena Resy Ballarin, stroncata nel fiore della esistenza, a soli 29 anni, da una malattia terribile.

Ci sono più di 400 persone in chiesa quando il parroco, don Marino Callegari, inizia ad officiare il rito funebre. Papà Denis e mamma Maria Pia, sono davanti, accanto al feretro che racchiude la loro bambina, la loro unica figlia, che un destino crudele ha strappato alla vita, infrangendo sogni e speranze.

Subito, in apertura, i ricordi di chi la conosceva bene, quei ricordi che di solito si leggono alla fine, ma che stavolta hanno voluto essere l’ouverture della messa. In chiesa i tanti colleghi di lavoro di mamma e papà, entrambi dipendenti dell’ospedale. C’è pure l’assessore alle politiche sociali Luciano Frizziero, il presidente del consiglio comunale Endri Bullo ed il direttore sanitario Massimo Boscolo Nata.

Non si può non partire dal ritratto di questa bella ragazza, dagli occhi azzurri, impegnata anche socialmente. Per suo volere è stato chiesto, a chi se lo sentisse, di versare un’offerta a favore dei canili di Chioggia e di Bologna, la città dove si era trasferita e dove prestava volontariato presso il canile comunale, lei che amava in maniera viscerale gli animali.

«Abbiamo subìto una perdita enorme», ricorda un’amica, «ma ringraziamo ugualmente il Signore per averci fatto percorrere assieme ad Elena questo pezzo di strada assieme, anche se breve. Grazie per la tua schiettezza, per il tuo altruismo e per il tuo disarmante sorriso. Faremo del nostro meglio per prenderci cura degli altri, come tu ci hai insegnato, per garantire a tutti il diritto di essere ascoltati».

Poi c’è il ricordo dell’amico, vicino di casa, cresciuto assieme ad Elena: «Ci mandavamo messaggi su dei foglietti attraverso una cordicina tesa da una casa all’altra. Quanti giochi abbiamo fato assieme. Arrivavamo sempre in ritardo al catechismo ed a scuola, per colpa tua che non eri mai puntuale, ma eri il primo numero telefonico nella mia agenda, il mio preferito. Avevamo entrambi la passioni per i colori, quei colori per cui tu coltivavi il tuo sogno di diventare un’esperta di trucco ed effetti speciali».

In chiesa le note della struggente “Halleluja” di Leonard Cohen, accompagnate dalla musica di un violino, elegante e malinconica allo stesso tempo. Il saluto della chiesa, della sua parrocchia. «Una parrocchia», rimarca don Marino, «alla quale Elena era particolarmente legata: è un po’ come se oggi fosse tornata a casa. Era alla ricerca della sua identità fisica, pur minata dalla malattia. Non ha potuto realizzare i suoi sogni, ma ha percorso l’ultimo tratto doloroso per ammirare un nuovo panorama». —

Daniele Zennaro

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