È morto Alfio Fiorentino, l’ultimo dei poeti maledetti

La camminata lenta, quasi ciondolante, la borsa sulla spalla e spesso i sacchetti della spesa stretti nella mano destra, nel faticoso e solitario ritornare a casa. L'immancabile medaglione sul petto...

La camminata lenta, quasi ciondolante, la borsa sulla spalla e spesso i sacchetti della spesa stretti nella mano destra, nel faticoso e solitario ritornare a casa. L'immancabile medaglione sul petto e il berretto con incisa la dicitura “Krowten”, l'ironico opposto di “Network”. Questo era il poeta Alfio Fiorentino, nato a Catania nel 1934, venuto a mancare nella notte di lunedì scorso. Da circa quarant'anni abitava a Mestre dove aveva lavorato come funzionario presso l'allora Banco di Sicilia.

Difficile parlare oggi di “poeti maledetti”, ma Alfio si avvicinava a questo gruppo e non poco: era diverso, era lontano da qualsiasi scuola o qualsiasi dialettica nostrana, non aveva parentele, se non la grande e più volte palesata stima per Paul Celan e Paul Klee. Per omaggiare quest'ultimo riuscì nel 1973 ad ottenere che la sua raccolta “Simbàlica”, forse il suo miglior lavoro, fosse impreziosita da alcune riproduzioni del grande pittore.

Fiorentino, sicuramente più di altri, superò il confine fra la regione della storia e del suo tempo e il territorio del limbo come spazialità. Oltre a “Simbàlica”, vanno sicuramente menzionate le raccolte “Secondo strato” (1977), “FonAzione” (1979), “Leviatan” (1981), “I velieri” (1987). Poi quasi come in una sorta di autodistruzione, non volle o quasi pubblicare più nulla se non alcune poesie su riviste specializzate e rilasciare sporadiche interviste, anche se in casa conservava gelosamente e maniacalmente tutti i suoi ultimi lavori, ai quali apponeva l'ora, il luogo e il giorno dov’erano stati scritti.

Quasi come Sigmund Freud, si sentiva autorizzato dall'intrinseca originaria atavica libertà dell'inconscio (tra l'altro aveva una straordinaria somiglianza fisica con il padre della psicanalisi), e per questo difendeva a spada tratta la parola-madre e l'affetto per la lingua-madre, seppur andando sempre alla ricerca d'infrangere l'Io linguistico e la grammatica, quasi a stravolgere i canoni fondamentali della lirica.

I suoi versi, apparentemente incomprensibili, esprimevano per contro tutto l'universo dell'uomo. E qui vale la pena di ricordare Alfio Fiorentino con questi suoi tratti da “L'afflato”: ...astante/né l'acqua/duodecimale disse/sull'aspide/sul sacello onnivoro/trotterellando// né l'afflato/caccio//sul fiuto del finire/l'acqua soltanto/sul fiuto/ dello psicodattiloscritto//troppo sul fiuto/sull'afflato pressando».

La data del funerale non è stata ancora resa nota dai familiari.

Valter Esposito

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