«Così sono sopravvissuto al lager nazista»

I ricordi di Italo Mattiussi, uno dei 78 internati che hanno ricevuto la medaglia d'onore
Italo Mattiussi con la medaglia d’onore Accanto le fasi della premiazione con il prefetto Lamorgese
Italo Mattiussi con la medaglia d’onore Accanto le fasi della premiazione con il prefetto Lamorgese
 
Settantotto medaglie d'onore a chi è stato internato nei lager nazisti nel corso della seconda Guerra Mondiale. Le ha consegnate ieri mattina - a ridosso della Festa della Repubblica - il prefetto Luciana Lamorgese nella sala auditorium della Provincia in via Forte Marghera. Con lei, il vicepresidente dell'ente, Mario Dalla Tor, e i rappresentanti dei Comuni di residenza dei premiati. Per chi era già deceduto, la medaglia è stata ritirata dai parenti. «Il ricordo di non deve fermarsi al Giorno della Memoria», ha detto il prefetto.
 Tra i premiati c'era ieri anche il mestrino Italo Mattiussi, 88 anni, e alle spalle la storia di una lunga prigionia a di Duisburg, in Germania, in uno dei tanti campi di lavoro che sorsero quel Paese durante l'ultima guerra.  
Cosa accadde quando venne catturato?
 «Avvenne pochi giorni dopo l'8 settembre del 1943. Ero bersagliere, schierato in Alto Adige con l'Esercito, e facevo la guardia alle linee ferroviarie. Improvvisamente fummo fatti tutti prigionieri e poi deportati in Olanda, in un centro di smistamento dei tedeschi. Arrivammo in treno, poi la mia destinazione finale fu un campo di lavoro in Germania, a Duisbug, dove c'erano gli altiforni di una grande acciaieria».  
Quanto tempo vi è rimasto?
 «Un anno e mezzo, fino alla liberazione del Paese».  
Cosa faceva durante le sue giornate?
 «Lavoravo in officina, la mia grande fortuna è stata quella di essere stato dipendente della Sava di Marghera, in gioventù. Avevo esperienza nel settore, quindi mi sono evitato gli altiforni, e tutto sommato devo anche a questo l'essere ancora vivo. Quelli erano terribili. La gente moriva tutti i giorni. Lavorava in condizioni disumane con turni di dodici ore. Una settimana di giorno, una settimana di notte».  
Erano impianti per la produzione delle armi?
 «Anche. Non a caso abbiamo subìto molti bombardamenti da parte degli Alleati. Ogni giorno succedeva qualcosa, ma soprattutto si moriva in continuazione».  
Quanti italiani eravate nel campo?
 «Quando sono arrivato si era circa in settecento, ma solo in un centinaio siamo sopravvissuti. Alla mattina ti svegliavi e qualche tuo compagno era morto nelle stanze. Avevamo l'ordine di raccoglierli e di metterli fuori dalla porta. Poi si arrangiavano i tedeschi».  
Cosa le è rimasto dentro, ancora oggi, di quella esperienza?
 «Soprattutto la morte dei miei compagni e amici: non li riesci a dimenticare, neanche a distanza di anni».  
Cosa si sente di dire ai giovani d'oggi?
 «Il desiderio principale è che innanzi tutto non si verifichi mai più nulla del genere. Poi, consiglio ai ragazzi di studiare di più quel che è successo, quello che in tanti abbiamo dovuto vivere. Purtroppo si sta trascurando la storia».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © La Nuova Venezia